Torino, 18 febbraio 2009



Ieri, nella sala d’attesa del dottore, ho assistito impotente, con la faccia conficcata in un Donna Moderna dell’estate passata – di per sé già un ossimoro -, al seguente dialogo:
-No, io solo macchina. Il pullman non lo prendo. Non lo prendo più dal 1952.
-Eh sì, e come si fa?
-Con la feccia che c’è sopra.
-Che schifo.
-Che gentaglia.
-Che porcheria. Povera Italia.
-Eh davvero.
-Io lo dico sempre. Si stava meglio quando c’era lui.
-Ben detto.
-Quando c’era lui e si usciva per strada era tutto pulito, tutto in ordine. Io me lo ricordo.

Certo, vecchia stxxxza babbiona. Peccato che tu non ti ricorda di un altro paio di cosette, di quando c’era lui.
Questo l’ho solo pensato, lo confesso, perché in quel momento la segretaria del dottore ha chiamato all’appello “Di Maggio”. Mi sono alzata, e con la forza del mio cognome terrone ho guardato quelle due peppie torinesi vestite di animali morti. Ho pensato a tutte le volte che sono stata feccia con la feccia sugli autobus. A tutti i treni pulciosi. E a tutti quei treni pulciosi che hanno preso 40/50 anni fa altri terroni come me, per venire proprio qua. A costruire le loro macchinine. Ho pensato a “La storia siamo noi”, e ai documentari sul fascismo.
E pure a tutte le volte che mi sono chiesta chi votava Berlusconi.
E nel mio groviglio di disperazione, mentre ripetevo a me stessa che sì, era proprio vero quello che avevo sentito, nonostante sembrasse la classica storiella da stereotipo, ho realizzato che su un punto ero d’accordo. E ho mormorato anch’io, tra i denti:
“Povera Italia”.

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