Sono tornata a casa.










Sono tornata a casa, ma non c’era più.
Ora c’è un cimitero.
Senza cadaveri, di sole lapidi.
Con sopra foto, pelouches e candele.
Ci sono anche libri, ci sono mobili. Ci sono dizionari e ninnoli.
E poi fumetti, certificati, dischi. Tutto uguale a com’era prima.
Di più c’è un tavolo, dei quadri, delle bambole, un televisore che nessuno vedeva.
Manca qualcosa? Mancavo solo io, la defunta.
Assente. Renitente. Fuggiasca. Prigioniera.

Sono tornata a casa, ma ora non c’è più.
C’è un albergo, pensione completa.
Con tanto di biancheria pulita, sveglia mattutina.
Mi dan perfino le pantofole, il pigiama. E la valigia per andare via.

Sono tornata a casa, ma la casa non c’è.
Ora c’è un ripostiglio.
Parcheggio di quadri reietti, avanzi di ricordi, e geroglifici. Che nessuno sa capire.
E anche adesso che ci sono io, che li ho scritti, non riesco a starli a sentire.
Le ragnatele sono invisibili, eppure mi pare di vederle.
E di sentire odore di rancido, di muffa. Di biblioteca.
È rimasta a aspettarmi solo la carta di una caramella,
ma con tutti quelli che ci han messo mano, a questa casa,
è solo un’altra impronta su una teca.
Una collezione di cicatrici è questa casa che è un museo.
Perché non vive, espone, è di tutti e non è mia.

Ma chi c’è stato qua? A chi ti sei data?
Fottuta casa traditrice. Che mischi i miei brandelli di vita con gli ammennicoli di altre vite.

E dove hai messo le luci? Al buio non le trovo.
Dove si scende dal letto? Una volta vedevo tastoni.

Cosa ci faccio qua? A ricordare?
A sentirmi estranea, ospite, aliena.
Tumulata nella mia cappella di famiglia, dove ogni cosa urla la sua storia.
Mi assordano le voci, i gemiti, le lacrime.
Non riesco neanche a morire.
Eppure il letto lo riconosco.
Ma oggi è irto di spine.

Vorrei portar via tutto, vorrei dar fuoco a questo freddo mausoleo.
Ma non mi azzardo, rubo solo un souvenir.
Bisogna aver rispetto per i morti.
Perché la morta sono io.

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