Aperta al Traffic.

A proposito di palchi spettacolari, non temo di ripetermi proclamando anche quest'anno:


Viva Traffic e viva la musica gratuita per tutti.


Ebbene sì, ieri sera ero tra i sessantamila spettatori dei Daft Punk.
Ed ebbene sì, ultimamente la mia vita sociale ha subito un'impennata, parallela alla fioritura estiva di Torino: concerto di Vasco, festa della 500, e adesso il Traffic. Sembra una terapia d'urto contro la mia demofobia. E in effetti magari lo è.
Fatto sta che ieri sera la folla non mi ha fatto il benché minimo effetto, se non la gioia di vedere sessantamila teste mobili e centoventimila braccia che si alzavano e si abbassavano all'unisono sulla musica degli "stupidi straccioni".
Mi sono divertita un sacco. Di fronte al palco con gli occhi di fuori, poi ballando ad occhi chiusi. Battendo le mani, fino a non reggermi in piedi. Saltando nel buio, immobilizzata dalla luce.
Un altro concerto che del concerto ha poco. Ha più dell'ibrido tra djing e installazione, arte del mixaggio e videoarte.


Una piramide fosforescente, coreografie luminose, fari e scintille, e in mezzo due robot da far urlare ad un "2007 - Odissea nello Spazio": il duo francese dei Daft Punk, che mi ha rubato tre ore di sonno, ma me ne ha regalate altrettante di ballo e sballo, di trance e di dance.
Ne è valsa la pena. E, a differenza dell'anno scorso, non sono nemmeno svenuta. Qualcosa vorrà dire.

Sono così senza parole (Vasco dixit), che per stavolta adotto quelle altrui.


Sì Vasco, io ci casco.

Dicevo: “L’andrei a vedere solo se fosse gratis”.
Era gratis, e sono stata di parola: sono andata al concerto di Vasco, ieri sera al Delle Alpi.
Mi hanno regalato due biglietti, e siam partiti, io e il papi. Già quello un evento. L’altro, il concerto? Piacevole, bello, dai. Una festa.


75.000 persone che più che assistere allo spettacolo di Vasco, assistono al proprio. Vanno a vedere loro stessi che vedono Vasco. Strana tautologia, spirale virtuosa e viziosa insieme. Un capovolgimento tra soggetti e oggetti della proposizione: Vasco allo show dei propri supporter. Per lui.
Almeno, così mi è parso.
Forse perché eravamo tanto lontani che Vasco, sulla mia retina, non era più grande di una formichina. Forse perché l’immagine sul megaschermo faceva strani scherzi, e il labiale andava in tilt con l’audio, come nei film giapponesi doppiati male. O forse perché i fan di Vasco urlavano davvero forte e duro, più del loro idolo. Fatto sta che sui miei sensi hanno lasciato traccia più i 75.000 dell’1: del resto, era una lotta impari.


Il palco era meraviglioso. Una grande struttura di tubi, lastre metalliche e schermi sui quali si proiettavano luci e immagini, ad accompagnare la musica. Il mix aveva qualcosa di psichedelico.


Insomma - PER ME - lo show ha avuto il sapore della celebrazione, più che del concerto: si festeggiava l’amore per Vasco del suo popolo. In teoria, il festeggiato poteva esserci come non esserci.
Io c’ero.
Finalmente posso dirlo anch’io, DD.