Sì Vasco, io ci casco.

Dicevo: “L’andrei a vedere solo se fosse gratis”.
Era gratis, e sono stata di parola: sono andata al concerto di Vasco, ieri sera al Delle Alpi.
Mi hanno regalato due biglietti, e siam partiti, io e il papi. Già quello un evento. L’altro, il concerto? Piacevole, bello, dai. Una festa.


75.000 persone che più che assistere allo spettacolo di Vasco, assistono al proprio. Vanno a vedere loro stessi che vedono Vasco. Strana tautologia, spirale virtuosa e viziosa insieme. Un capovolgimento tra soggetti e oggetti della proposizione: Vasco allo show dei propri supporter. Per lui.
Almeno, così mi è parso.
Forse perché eravamo tanto lontani che Vasco, sulla mia retina, non era più grande di una formichina. Forse perché l’immagine sul megaschermo faceva strani scherzi, e il labiale andava in tilt con l’audio, come nei film giapponesi doppiati male. O forse perché i fan di Vasco urlavano davvero forte e duro, più del loro idolo. Fatto sta che sui miei sensi hanno lasciato traccia più i 75.000 dell’1: del resto, era una lotta impari.


Il palco era meraviglioso. Una grande struttura di tubi, lastre metalliche e schermi sui quali si proiettavano luci e immagini, ad accompagnare la musica. Il mix aveva qualcosa di psichedelico.


Insomma - PER ME - lo show ha avuto il sapore della celebrazione, più che del concerto: si festeggiava l’amore per Vasco del suo popolo. In teoria, il festeggiato poteva esserci come non esserci.
Io c’ero.
Finalmente posso dirlo anch’io, DD.


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