Tatuaggi. Trovo che siano un argomento di conversazione spinosissimo. Quelli che non li hanno ne parlano sempre con una fastidiosa intransigenza.
Ah no, io non lo farei mai.
È così… irreversibile.
E se poi cambi idea?
Tanto poi da vecchio te ne penti.
Ma tu li hai mai visti in spiaggia quei vecchi coi tatuaggi? Che schifo!
Come se l’assenza di marchi rendesse i vecchi di bell’aspetto, ai loro occhi.
Figuriamoci. A certe persone fa schifo tutto. Eccetto loro stessi. Anzi, loro stessi compresi.
Quelli che hanno scelto di tatuarsi DI NORMA sono altrettanto beceri.
Tribale o un disegno, sulla caviglia o sulla spalla, una rosa o un’ideogramma giapponese: sembra che farsi un tatuaggio sia alla stregua di decidere cosa vedere in tivù o cosa preparare per cena. Alla stregua di un’idiozia.
Dei tatuaggi, dico io, non bisognerebbe parlare.
Anzitutto, per potersi godere a pieno gli sproloqui dei tuoi interlocutori, evitando che le loro opinioni siano viziate dalle tue, o dalla tua condotta.
Scopriremmo una punta d’invidia repressa negli oppositori, che sotto sotto rimpiangono di non averne il coraggio. E un sotterraneo pentimento in quelli che parlano parlano di quella farfallina sul polso che non ha senso per nessuno, e nemmanco per loro. Che non ha un senso neanche estetico! e che da vecchi, in spiaggia, si vergogneranno di esibire.
Ecco, se si evitasse di parlarne sarebbe meglio. I tatuaggi tornerebbero ad essere un fatto privato, quale sono, e scomparirebbe quella componente di esibizionismo che si ravvisa spesso – CON LE DEBITE ECCEZIONI – nel farli, nel non farli, ma soprattutto nel parlarne.
Dunque scusate se ho tirato fuori l’argomento. Prometto.
Non lo faccio più.
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