Dove lo trascorre un tardo pomeriggio di un sabato solitario una giovane e solitaria emigrante del fine settimana costretta a Torino dal superlavoro?
In una solitaria, piccola e spartana saletta di un cinema del centro, fresca orfana dell’ampollosa presenza del signor Sgarbi e del di lui harem in corteo, ad assistere ad un film di nicchia del Torino Film Festival, circondata da pochi fortunati portatori di pass al collo, distintivo dell’intellettuale e motivo di suprema invidia. Mia. E di tutti coloro per i quali la cultura non può essere un lavoro.
Ma solo un hobby.
Masticando BigBabol e scarabocchiando al buio, mi chiedevo se la luce sarebbe riuscita a decifrare i miei deliri.
E, a quanto pare, luce fu. Luce su:
“Giorno dopo giorno”
Film-documentario
di Jean-Daniel Pollet e Jean-Paul Fargier
Francia, 2006, Digital Betacam, 65', col.
Il film raccoglie in ordine cronologico un anno di fotografie scattate da Pollet prima di morire. Cioè una settimana dopo aver concluso il montaggio. Ma “Giorno dopo giorno” non è un portfolio. Non è un testamento. È una sfida.
Pollet fu travolto da un treno nel 1989. Nel corso degli anni successivi, si aggravò e durante l’ideazione e realizzazione del film era praticamente ad un passo dalla fine. E lo sapeva. Il suo ultimo anno – quello del film - lo trascorse confinato nella sua fattoria, fotografando il pezzo di mondo che lo circondava. “La mia scommessa era vedere se sarei riuscito a sopravvivere più a lungo scattando fotografie giorno dopo giorno, non lasciandone passare neanche uno senza aver fatto almeno una foto.”
Insomma, Pollet voleva scoprire se le fotografie gli avrebbero allungato la vita. O giù di lì. Se il “clic clac” della sua macchina avrebbe battuto il “tic tac” dell’orologio che scandiva le sue giornate come una bomba ad orologeria. Istante contro tempo.
“Un viaggio lungo un anno”. Un viaggio col fucile puntato. Che tu, da spettatore, vorresti fermare ogni momento. Perché già sai che ogni foto è una frazione di tempo più vicina alla morte. E quasi vorresti impedire a Pollet di continuare nel suo tentativo disperato di congelare quegli attimi. Attimi in cui si susseguono le stagioni, i cieli, i fiori, diverse temperature dello stesso termometro, insomma tutte le cose mutabili, accanto a quelle sempre uguali a se stesse. I libri, le tazze, il bicchiere di vino, il gatto, e il cane sulla poltrona. E tu, anche tu sempre lì, morboso voyeur degli ultimi sguardi di un moribondo.
Il finale l’ho già svelato: il “clic clac” perde. E il “tic tac” si porta via Pollet. Che prima però esaudisce il suo ultimo desiderio del condannato. Questo film. Straziante, duro ma almeno eterno.
Bon voyage Monsieur Pollet. Merci.
3 commenti:
Mutuo proprio da Sgarbi e dal suo libricino "Il bene e il bello" un'aforisma che fa proprio al caso di Pollet. E al caso di tutti.
"L'unica eternità che ci è concessa è un tramando della memoria".
Arriverà mai nelle sale?
Un saluto.
Rob.
Non so. Probabilmente a qualche festival. Per adesso mi risulta essere in sala solo a Torino.
Grazie per l'interessamento, Rob. Ricambio il saluto cinefilo,
Dena
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