Ho sempre provato una certa avversione per le fotocellule dei bagni pubblici. Per intenderci, i sensori della luce che ci sono nelle toilette dei bar, o degli uffici, o delle scuole. Lì quasi mai trovi l’interruttore della corrente, come a casa. Lì quando ti scappa ed entri di filato in gabinetto ti senti come al Grande Fratello.
Insomma, io quegli aggeggi non li sopporto. Mi disturbano per il solo fatto che rilevano la mia sagoma appena entro in bagno. E perché m’hanno visto? E cosa vorrà dire? Ecco che spunta la paranoia da grassofoba. Purtroppo è così. Mi stanno simpatici solo ed esclusivamente quelli che, al mio ingresso nella toilette, non si accorgono della mia presenza. Resta tutto buio, almeno finché non mi sbraccio come una naufraga al passaggio di una petroliera. Allora sì, i rapporti tra noi si mettono bene. E posso rivolgere a quell’occhio cieco, ma indiscreto, uno sguardo benevolo.
Se poi la luce si spegne nel bel mezzo del bisognino, sotto sotto godo immaginando che sia perché non sono tanto d’ingombro. Oddio, pensandoci bene, quando sono lì, in piedi e al buio, sospesa culo in fuori sul cesso più cesso che ci sia, magari un po’ m’innervosisco. In situazioni così cosa fai? Improvvisi un ballo di San Vito grondante d’urina per farti notare dalla fotocellula? Annaspi nell’oscurità cercando prima la carta igienica, poi la chiave della porta, dopo la maniglia e, non ultime, le tue mutande? Sempre in equilibrio precario come un fenicottero? Non sono dei bei momenti. Meglio il caro vecchio on/off. Che se si accende la luce sei sicura che è perché l’hai accesa tu, non perché hai preso qualche chilo.
N.d.A. L'autrice aderisce alla scelta ecologista di utilizzare interruttori a tempo o fotocellule per gli scopi suddetti. Ma questo che c'entra con le sue paranoie?