Quando uno scrittore appone la parola “fine” all’ultima pagina del suo libro, si sente come il padre che fa ciao per sempre al figlio che se ne va di casa.
Svuotato, e un po’ orfano.
Avrò finito la mia opera? Avrò dato il varo a un qualcosa di completo, oppure ho lasciato qualcosa di incompiuto? Per troppa sollecitudine l’ho sorretto per il tallone e l’ho reso, per un verso, non immune alle critiche? Così piccolo, perché nel suo pensiero è ancora piccolo, sarà in grado di affrontare il mondo da solo?
Ma oltre alla preoccupazione, quello che prova è un filo di rammarico:
dunque, non ha più bisogno di me? Dopo tutto quello che ho fatto per lui, adesso io per lui non sono più nessuno, se non una firma su un certificato? Figlio degenere.
Dove andrà, cosa farà, chi si prenderà cura di lui?
Lo capiranno o lo fraintenderanno?
E quel suo difetto o due, lo noteranno? O, magari, lo ameranno anche per questo?
Ai posteri l’ardua sentenza, diceva un tale.
Ai presenti, la dolce compiacenza, di veder camminare la propria creatura con le proprie gambe.
E il sollievo, di non doverla mantenere più.
PS: Ho finito il terzo libro per l'infanzia. Uscita prevista: settembre 2008. Aggiornamenti: a presto.
Yuppi.
Pensieri, parole, opere e omissioni di una scrittrice in erba,
una copywriter freelance in tempo di crisi, una spiantata trapiantata a Lecco.